Trovo il lavoro di Camiletti Valentino interessante e originale. La mia è una vera dichiarazione di simpatia. Si la sua pittura mi è “simpatica”. Intanto perché' è certo un ottimo esecutore, attento anche alla tradizione e in simbiosi con l'arte del passato. Poi si dedica a temi ne' leggeri ne' pesanti e sempre pensati nel modo giusto. Mi diverte molto poi che nel ritratto che mi ha dedicato mi abbia immaginato in compagnia del grande Diego Velasquez e per questo lo ringrazio.
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..........l'arte di dipingere le cose come l'occhio le vede, dopo l'invenzione della fotografia, è sempre meno coltivata, è faticosa, minuziosa e richiede talento e allenamento ma nessuna fotografia potrà mai avere la luce, lo sfondo, la posa di un disegno ben fatto. Se la fotografia dà l'effetto verità, il dipinto realistico concentra tante informazioni sotto forma visiva. I quadri naturalistici del pittore lombardo Valentino Camiletti sono prevalentemente acquerelli con tocchi di tempera e finitura a pastello. E' un vero più vero del vero, perché nessuna foto può essere così dettagliata, completa e densa di informazioni come uno di questi dipinti. Alla perizia dell'illustratore, Camiletti affianca poi la conoscenza scientifica della flora e della fauna; i suoi animali colti in pose e in ambienti così perfetti ed esemplari, sono come e più delle fotografie, visualizzazioni ideali per bellezza posizione e punto d'osservazione.....................
Servizio di Giulio Cappa per RAI tg3 (anno 2004).
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E' bello pensare, nel vorticare dei passi e dei rumori, nello spasimo del dire ad ogni costo, nel “funzionare” forzato del quotidiano, a un mondo in qui realtà e fantasia sono la stessa cosa,dove un uomo cammina solo,immaginando ciò che vede,colmando i suoi occhi di un'epifania immobile, scolpita divinità. Esiste una pittura del silenzio,in qui ogni frammento di vita pulsa sincrono all'universo ed e' talmente perfetto nel suo essere compiuto,da dare l'impressione che tutto debba incominciare da li,e quello sia il primo giorno di una nuova creazione. Il foglio bianco si adagia sopra questa natura in apparenza quieta,che posa un pulviscolo colorato,magico,come nello spolvero di un affresco,e si rinnova il sortilegio,appare la montagna, si spalanca il cielo,giocano le volpi e la martora caccia nella foresta. Valentino Camiletti, veneto di pianura,di brume sospese tra filari di gelsi,aironi pigri e altezzosi ama per contrasto le vette e i lariceti,lo sguardo fuggente del camoscio,quelle nuvole un po' alla Van Gogh razzenti nel blu cobalto dell'orizzonte. Cammina,e a ogni passo il quadro si anima di nuovi personaggi,una lepre variabile che bruca,la coturnice dal ventre giallo color dei licheni,un ermellino flessuoso come un bruco geometra. L'acquarello leggero,il segno più marcato della tempera all'uovo, non fanno altro che riempirci il cuore di fulminante nostalgia per il perduto dono della perfezione,patrimonio vivo e duraturo conservato dagli animali,dai fiori,dalle pietre e non più dall'uomo,inseguitore come Achille vano,di quella bellezza formidabile e incorrotta. Camiletti sa che a questa meraviglia ci si deve accostare apparentandosi a un filo d'erba, a una soldanella,alla piuma caduta di un forcello, perchè la nostra residua fortuna sta nella speranza dell'incontro,e quel contatto avviene se la mente è pura e percepiamo il respiro della terra,il suo battito di ciglia. Vengono in mente i versi di un poeta scapigliato,Giovanni Camerana,anima divisa tra i doveri e il desiderio di leggerezza,così connaturato alle visioni dell'arte:”E bastan quattro solchi e un poco d'erba/ o un riflesso nell'acqua/ perchè si calmi questa oscura,acerba/ febbre dell'anima./( …..) O il campanile aguzzo che traspare/ fra i castagni del clivio...” Così avviene osservando i dipinti di Valentino Camiletti,e ci basta il volo notturno del barba-gianni, il profilo sparuto della volpe, la sagoma lontana dello stambecco a ossigenare il nostro animo malsano, non più educato alla gaiezza, al semplice incrociarsi di sguardi, al sincero scorrere del tempo. Il pittore conosce il profumo dell'alba di montagna, quando il gufo reale abbandona il regno della notte e già il picchio muraiolo arrampica come un ragno sulla roccia, il suo occhio brilla nell'incerta luce del bosco ed è lo stesso del poeta, che raccoglie ogni suono, ogni inclinarsi dei gesti, e li conserva in una tasca piccola, vicino al cuore. Il suo vagare ininterrotto è lo stesso del lupo e dell'orso, su piste invisibili e olfattive, dove un sasso ha lo stesso luccicare di una stella e una foglia può raccontare il battere ritmato del picchio sul tronco, come la voce di un vecchio vicino al fuoco. Per lui il tempio si spalanca senza abracadabra, e lo scricciolo al piede del faggio s'inchina, guardiano solerte e gentile di lontane complicità.
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